La capitozzatura è per sempre! Intervista all’agronomo Daniele Zanzi
La capitozzatura è per sempre! Intervista al Dott. Agr. Daniele Zanzi
Il giornale online Fratello Albero, organo di informazione del Coordinamento Nazionale Alberi e Paesaggio Onlus, torna a intervistare il Dott. Agr. Daniele Zanzi, grande esperto di alberi a livello internazionale, questa volta sulla capitozzatura che tanti gravissimi danni provoca al nostro patrimonio arboreo e paesaggistico.
Albero mutilato – Foto Colazilli
-Dott. Zanzi prima di tutto che cos’è la capitozzatura degli alberi? Perché viene ancora praticata nonostante gli innumerevoli danni al patrimonio?
Sul termine capitozzatura vi è una grande confusione e di fatto manca una definizione precisa di cosa tecnicamente si intenda ; non è tanto la quantità di legno asportato o il fatto di togliere una cima che può definire il termine. Il capitozzo o scalvatura ( termine in disuso, ma molto usato nel secolo scorso ) non si misura solo dal danno estetico che produce e che fa, a ragione, inorridire i più.
La definizione di un termine è importante perché altrimenti vi è solo confusione e soggettivismo. Bene, per capitozzo si deve intendere, a mio avviso , qualsiasi taglio internodale che ha come risultato lo sviluppo di nuovi rami da gemme avventizie, dormienti o da punti meristematici interni. Questo è il capitozzo.
Poi esiste naturalmente un gradiente di gravità che ha l’apice in tutte quelle orrende mutilazioni che da un trentennio compaiono periodicamente su libri, riviste e ora ,con maggiore irruenza, sui social, provocando onde di giusto sdegno che sembrano però inefficaci a limitare il fenomeno. Sdegno che diminuisce nel periodo estivo quando le chiome mutilate sono fogliate e l’impatto visivo estetico sembra non essere così drammatico. Assimilare però il capitozzo unicamente a questi scempi è errato .
Le mutilazioni, che i nostri occhi stentano a tollerare, non sono potature, sono solo “ crimini contro la natura”, come li ebbe a definire Alex Shigo. Vi sono moltissimi capitozzi “malcelati”, non così evidenti cioè, accettati e talvolta additati, anche da tecnici, a buoni esempi di potatura.
Talvolta anche i mitici cosiddetti “ tagli di ritorno” sono in realtà capitozzi, malcelati certo, ma sempre tagli intranodali che provocano risposte fisiologiche innaturali negli alberi.Quindi è tempo che anche i tecnici definiscano correttamente cosa sia il capitozzo, altrimenti si ricade nel indefinito, dove tutto può essere giustificato e tollerato. Torno a ripetere: il capitozzo non è soltanto un albero maturo cui improvvisamente si toglie la cima o lo si riduce ad un appendiabito. Molti altri tagli sono capitozzature.
Anche un bambino capirebbe che un albero ridotto ad appendiabito è una mutilazione intollerabile ; non c’ è bisogno di un tecnico per riconoscerlo. Il fatto che contro la barbaria del capitozzo stiano insorgendo larghi strati di popolazione , anche con poca cultura botanica, sta a significare che la condanna è prevalentemente estetica; e questo è bene,ma è anche limitativo perché si va di fatto a sottendere i reali danni provocati, che sono soprattutto anatomici e fisiologici; ben peggio dunque di un mero danno estetico. In assenza di una reale comprensione biologica degli effetti del capitozzo, ci sarà sempre chi persisterà nella drastica potatura perché il fattore estetico può essere un approccio soggettivo o secondario di fronte ad un albero che si dice possa diventare pericoloso o possa escludere la vista del lago o dei monti.
Il capitozzo continuerà ad esistere perché si ignora la biologia degli alberi e anche i tecnici continuano, con le loro immagini postate ormai quotidianamente , a evidenziare un solo aspetto negativo, quello estetico.
Ma quando ,fin dalle scuole materne, si è cresciuti avendo davanti alberi capitozzati – e i bambini richiesti di disegnare un albero lo rappresentano come lo vedono quotidianamente , cioè mutilato – ,si arriva adulti pensando che la normalità sia il capitozzo. Non meravigliamoci dunque se anche nei templi ipotetici del sapere dell’arboricoltura ,cioè nelle Facoltà di Scienza Agrarie, i tigli e i platani siano orrendamente mutilati. Quindi non conoscenza – a tutti i livelli, senza distinzione di cultura, censo, religione e genere – della biologia degli alberi ornamentali alla base di questa pratica. Le ragioni poi per cui il capitozzo è sempre richiesto sono molteplici e le più disparate.
La mia esperienza professionale quarantennale può statisticamente ricondurre a due i motivi principali di questa richiesta : ridurre un rischio potenziale e ridurre la crescita di un albero che impedisce una veduta.
L’ironia del capitozzo è che l’operazione nel tempo rende gli alberi più pericolosi e i nuovi vigorosi rami epicormici che spuntano come reazione alla mutilazione crescono di più della vegetazione tolta . Quindi si paga qualcuno per avere nel tempo un danno maggiore e non risolvere il problema.
L’ignoranza riesce sempre a fare brutti scherzi !
Alberi mutilati – Foto Colazilli
– Molte specie arboree e arbustive muoiono per colpa della capitozzatura. Quali sono i danni dal punto di vista fisiologico, fitosanitario ed economico che vengono prodotti sugli alberi?
Alcuni pensano che il capitozzo faccia bene agli alberi perché ricacciano poi in modo vigoroso.” Visto che non succede nulla …. anzi si rinforzano !” ripetono contro ogni evidenza i fans del capitozzo.
In realtà la genetica è la genetica : alcune specie ,per motivi anatomici e fisiologici precostituiti ( che qui andrò solo ad accennare vista la complessità ) tollerano – nel senso che ricacciano prontamente – tagli internodali. Altri specie vegetali – faggio, quercia , acero, le più comuni – possono morire entro un anno da un capitozzo intenso. All’interno poi di una stessa specie esiste, come a livello animale, una gradazione di sensibilità individuale- e questo molti stentano a realizzare – Un individuo cioè reagisce diversamente dall’altro ad una pratica scorretta.
Il capitozzo è come rimuovere improvvisamente da un altalena che va su e giù il peso di chi sta in alto : lo stacco improvviso non bilancia l’altalena,anzi la può fare ribaltare. Bilanciare la chioma con le radici è un’altra delle ragioni alla base del capitozzo ; ed è grave che questa puerile sciocchezza venga riportata anche a livello accademico o su molti testi o articoli.
Nessun essere vivente o macchina può bilanciare se stesso rimuovendo dal proprio sistema ENERGIA.
Tutti i sistemi viventi per funzionare richiedono un continuo apporto di ENERGIA ( è un principio della termodinamica ). Quando si rimuovono parti del sistema destinate a produrre energia ( foglie e chioma ), le altre parti del sistema – anche le radici – cadono ad un livello energetico potenziale più basso.
Le diverse parti del sistema, vivendo ad un più basso livello di energia,non sono più in grado di mantenere l’ordine nel sistema che inizia a rotolare verso un più basso stato fisiologico di vita. E i cosiddetti patogeni che sono lì lo sanno e sanno aspettare ….
E’ così semplice,eppure tanti non capiscono e continuano a pensare – altro mito – che gli alberi traggano il loro cibo e la loro energia dal terreno e … dai fertilizzanti … e così si capitozzano gli alberi, li si privano improvvisamente della possibilità di produrre energia e nutrimenti … e si prescrive poi di concimarli con “splendidi” fertilizzanti azotati per rinvigorirli … assurdo, ma vero.
-Un albero gravemente compromesso dalla capitozzatura inevitabilmente dovrà essere sostituito. Possiamo quantificare il danno economico per una comunità prodotto dalla capitozzatura sugli alberi?
Il problema reale in arboricoltura è che gli alberi danno risposte ,ma in tempi lunghissimi e in tale lasso di tempo le fatture dei lavori di capitozzo sono già state pagate …. e nessuno risponderà !
Ecco perché molte imprese di “arboricoltura “ sopravvivono nel tempo; perché, se i danni provocati fossero immediatamente visibili , sarebbero già fallite da un pezzo! Certo, ha visto alberi morire ,nel tempo, per i danni associati al capitozzo: danni biologici,anzitutto, che portano al depletamento e poi al declino del soggetto; in molti casi ci vorranno decenni perché ciò avvenga; danni meccanici poi dovuti al cedimento, a distanza di anni, della nuova vegetazione che si sviluppa dopo la ferita da capitozzo che va incontro a marcescenza; oppure rotture dovute a fenditure che si originano dalle barriere 4 che isolano all’interno i marciumi associati al capitozzo . Le pareti di compartimentazione ( barrier zone ) sono la risposta e la salvezza per l’albero dopo una ferita o un trauma circoscrivendo i difetti interni,ma nel tempo rappresentano dei punti interni di frizione, contenendo suberina, con i tessuti sani xilematici ; risultato finale saranno, a distanza anche di parecchi decenni , fenditure che si aprono verso l’esterno con conseguenti cedimenti di intere branche o dell’albero intero.
E’ normale constatare come alberi che cadono durante un nubifragio – quelli che la stampa sensazionalistica definisce “alberi killer” – abbiano tutti al loro interno difetti associati a tagli mutilanti a capitozzo. Al danno economico che non può essere evidentemente risolto con un improbabile valore di sostituzione ( come qualche cultore dell’estimo rurale vorrebbe ), si aggiunge anche il danno ambientale che non può essere risolto mettendo a dimora ,come molte amministrazioni fanno ,autoassolvendosi, dieci alberi per ogni abbattuto. Perché quando muore un albero di sessant’anni per il capitozzo o viene rimosso, di fatto si privano due generazione dell’ossigeno prodotto da quell’albero.
Quindi andrei anche molto cauto con la filosofia del ”rinnovo delle alberature “ – a prescindere –
Albero orrendamente mutilato – Foto Colazilli
-Come reagisce l’albero di fronte alla capitozzatura? Ci sono specie arboree in grado di sopravvivere?
Il capitozzo è un danno; più il danno è consistente e più la risposta di reazione dell’albero sarà drammatica ed imponente. Ricacci vigorosi e veloci stanno solo a significare un grosso danno,non una grande guarigione.
Uccidere nel breve termine un albero – a meno che si tratti di un faggio , di una quercia europea o di una conifera o di un soggetto già debilitato pesantemente – è quasi impossibile . L’albero ha una reazione, cerca di difendersi e sopravvivere ad un attacco esterno.
La pianta capitozzata , a partire da gemme dormienti o da gemme avventizie ( che sono due tessuti differenti) emette rami epicormici – detti volgarmente e malamente succhioni – come reazione ad un danno subito. Le gemme dormienti sono punti meristematici appuntiti localizzati sotto la corteccia; le gemme avventizie hanno origine da tessuti di callo che hanno la capacità di dividersi velocemente e omogeneamente e sono circondati da tessuti parenchimatici ricchi di amido in grado di sostenere una crescita veloce e repentina.
Lo sviluppo di queste gemme è velocissimo e richiede una grande dispendio energetico da parte dell’albero. In poche parole per salvarsi la pianta capitozzata dissipa gran parte del proprio conto in banca. Dissipando i propri “risparmi “ si troverà in una situazione critica qualora un’altra emergenza dovesse verificarsi: un attacco di defogliatori,un’ altra ferita, siccità ,gelo, folgori ecc.
Un albero debilitato dal capitozzo è un albero debole per confrontarsi con l’ambiente ostile delle città in cui si trova a vivere. Certo alcune essenze – platani,tigli, – che sono poi quelle che ritroviamo non a caso più frequentemente nei nostri viali cittadini dove più grandi sono le aggressioni antropiche, possiedono geneticamente meccanismi di maggiore resistenza- meglio sarebbe dire tolleranza -.
Fondamentalmente perché hanno maggiori punti meristematici interni in grado di reagire e maggiori capacità di accumulo nel legno di riserve energetiche – a parità di volume maggiori cellule parenchimatiche vive – . Alcune specie come il platano hanno anche una maggiore interconnessione anatomica tra cellule radiali ; il che permette una efficiente e più rapida capacità di traslocazione dell’energia in senso radiale e quindi superiori capacità di difesa .
-L’albero capitozzato può essere ricostruito nella sua architettura? Quali sono i costi economici di un simile intervento?
Non mi piace il termine – tanto abusato oggi – di “ricostruire” una chioma ; è un termine sbagliato,usato a sproposito, di significato dubbio e non corrispondente a ciò che si vuole ottenere. Userei estrema cautela nell’impiegare termini non corretti e poco consoni. Di fatto, essendo l’albero un organismo non rigenerante come gli animali , ma generante nuovi tessuti in posizione spazialmente diversa ,è impossibile riparare un danno come il capitozzo. Oserei arrischiare il termine “ un capitozzo è – ahimè – per sempre “.
La storia all’interno di un albero non può essere cancellata. Interventi maldestri avranno conseguenze per tutta la vita di un albero; ecco anche perché il capitozzo è così deleterio. I rami epicormici hanno consistenza delle fibre diverse da un ramo normale; le barriere difensive interne, attivate come conseguenza degli improvvidi tagli,nel lungo termine, si tradurranno in punti di debolezza strutturale meccanica.
Certo si potrà tentare di selezionare alcuni succhioni ( i cosiddetti leader) – e questa operazione richiede conoscenze biologiche e meccaniche-, ma il danno causato rimarrà per sempre.Alberi capitozzati non potranno essere riportati a forme cosiddette libere o “ricostruiti” .
I rami epicormici ,seppure selezionati in base a fattori di dominanza, nel tempo cederanno. La prima regola per una persona osteoporotica è quella di non ingrassare. Alberi capitozzati dovranno essere potati nel tempo con interventi mirati per contenerne la biomassa.
A mio avviso non c’è alternativa . E questa convinzione è supportata da un’esperienza quotidiana ultra trentennale andando costantemente a rivedere nel tempo i lavori eseguiti e osservando le reazioni dei miei “pazienti”
Platani capitozzati – Foto Colazilli
-Qual’è la migliore potatura di un albero? Che tipo di interventi tecnici devono essere eseguiti soprattutto in ambiente urbano?
La migliore potatura non è quella che non si vede, come scrive qualcuno. Perché se così fosse, non si capisce perché venga attuata e ad un occhio attento non possono sfuggire i segni all’interno della chioma che la potatura lascia. La potatura invece ha finalità precise e diverse: può regolare lo sviluppo di un albero, intervenire a sollevare l’albero maturo da eccessivi dispendi energetici per sorreggersi, eliminare il secco, correggere eventuali sbagli di impianto non risolvibili con la sostituzione dell’esemplare , rimediare a difetti anatomici precostituiti e tipici di varietà orticole e molto altro ancora. Una potatura ben fatta è quella che non darà origine allo sviluppo di rami epicormici ; perché significa che non si è stimolato l’albero ad una reazione che comporta dispendio energetico.
In ambito urbano si sottovaluta – e di molto – la potatura di formazione di alberi giovani. Li si mette a dimora e ce se ne dimentica per almeno un decennio; e invece sarebbe importante intervenire in questo periodo perché si può indirizzare lo sviluppo futuro di un albero andando ,in modo economico, ad evitare in futuro difficili convivenze con infrastrutture, edifici, camere da letto, tetti e quanto altro..
Gli alberi in città si possono e debbono potare proprio per indirizzarne la crescita e per bilanciare stress meccanici da sostegno che richiedono per l’albero una modifica dei propri bilanci energetici. Vedo poi ancora parecchi sbagli tecnici operativi , come il non rispetto dei collari del tronco sul ramo, troppi raccorciamenti specie su generi che mal sopportano questo intervento.
In genere ai fini energetici è preferibile sopprimere piuttosto che raccorciare – e proprio questo è quello che avviene naturalmente in natura; quindi perché non imitarlo ? – Molte volte l’operatore e il tecnico sono chiamati ad intervenire su alberi disastrati, rovinati da precedenti interventi mutilanti. La soluzione non è eliminare l’albero – così facendo penso che si dovrebbero togliere la gran parte degli alberi in città – , ma minimizzare il danno subito, evitare che in futuro l’intervento maldestro effettuato possa evolversi in perdite di rami o addirittura in crolli dell’albero.
-Qual è la figura professionale preposta al corretto intervento di potatura sugli alberi?
Penso che le guerre le vincano essenzialmente le truppe, non i generali. Napoleone perse a Waterloo non perché sbagliò tattica,ma perché aveva a disposizione truppe giovani e impreparate, non i capaci veterani.
Un corretto intervento di potatura non può prescindere dalla preparazione professionale di chi materialmente opera i tagli. Quindi ben vengano abilitazioni e certificazioni per gli operatori. Negli anni ‘ 90 iniziammo come European Arboricultural Council – EAC – in modo pionieristico e disinteressato – allora ero il Chair del Consesso europeo – il processo volontario di certificazione: oggi ne vediamo parzialmente i frutti e ne sono molto contento ed orgoglioso.
Certo il tecnico che sovraintende – il “generale agronomo” – è importante: la sua cultura , la sua preparazione e soprattutto la sua esperienza personale possono fare la differenza, purchè la guerra l’abbia fatta per davvero e non solo studiando mappe a tavolino o proiettando diapositive.
-A proposito del periodo di potatura. Qual è il periodo migliore per intervenire?
Dipende dal risultato che si vuol ottenere. Gli alberi sono esseri viventi plastici : se si inizia quando sono giovani e si ripetono le operazioni periodicamente si può ottenere tutto . I bonsai ne sono la prova. Dunque se si vuole ridurre il vigore di alberi capitozzati è bene intervenire dopo la completa emissione dei getti cioè in piena vegetazione; altrimenti in riposo vegetativo.
Le curve fenologiche di Alex Shigo , che riprendo nel mio seminario Il Sistema Albero, sono una guida fondamentale allo scopo. Evitare comunque tagli in due stati fenologici : fase emissione foglie quando i livelli energetici interni degli alberi sono al minimo e fase di caduta foglie.
Per gli alberi a fioritura copiosa – rosacee, querce sempreverdi o conifere – assolutamente no in piena fioritura.
Querce mutilate – Foto Colazilli
-Qual è la differenza tra capitozzatura e potatura “a testa di salice”?
Il tema è molto dibattuto perché in origine vi fu una confusione nei termini. Negli Stati uniti con il termine pollarding si intendeva una pratica sinonimo ed equiparabile al capitozzo; in Europa dove tale pratica, a differenza del Nuovo Mondo, è diffusissima, si intende la potatura in ars topiaria,ovverosia allevare gli alberi fin da giovani in dimensioni contenute e tornare ogni anno a togliere la vegetazione dell’anno formando le cosiddette teste di salice.
Questa confusione durò finchè Alex Shigo venne frequentemente in Europa e si confrontò con questa tecnica. Mi ricordo quando , nel 1989 sul lungo lago di Ascona in Ticino sotto i magnifici e secolari platani in forma obbligata, discutemmo a lungo sulla tecnica e iniziammo un programma sperimentale di dissezione delle cosiddette teste di salice che evidenziò la perfetta compartimentazione interna delle ferite ripetute negli anni e si arrivò ad un chiarimento anzitutto dei termini e ad un apprezzamento della tecnica.
Il pollarding – inteso ora nel modo corretto – è pratica che ,se eseguita correttamente – senza ledere le teste di salice – , risolve per gli alberi un problema meccanico di sostegno , li conserva più sani – i platani obbligati sono immuni da antracnosi – e costituisce pure un vitalizio per l’arboricoltore preparato. What’s else ?
-Il recente decreto del 10 marzo 2020 del Ministero dell’Ambiente riferito ai CAM (Criteri Ambientali Minimi) nella gestione del verde urbano finalmente vieta la capitozzatura e la cimatura eccessiva degli alberi. Si tratta di un passo importante ma non sono previste pene per i trasgressori. Cosa possiamo fare per bloccare chi capitozza gli alberi?
Certo concettualmente è una buona cosa. Ma chi controlla e chi rispetta se non è previsto un risarcimento o una sanzione? Ripeto, per bloccare il capitozzo è prioritaria una duplice azione : sugli operatori insegnando loro la biologia degli alberi e non solo ad arrampicarsi; sui clienti facendo leva sul fatto che pagano qualcuno – e talvolta anche molto – per aver un danno su un proprio bene.
-I regolamenti comunali del verde hanno qualche potere nella lotta alla capitozzatura?
Si sicuramente si. Varese si dotò fin dal lontano 1993 di un regolamento del verde dove si vietava e si puniva il capitozzo oltre che il danneggiamento delle radici. Certo non deve diventare un’ arma terroristica la sanzione ; il tallone d’Achille è il controllo e la quantificazione della sanzione.
Oggi abbiamo strumenti più oggettivi e seri per quantificare e monetizzare il danno inferto ad un albero che poi è anche un danno al paesaggio e quindi alla collettività.
-Dal 2019 diciotto associazioni di protezione ambientale chiedono a gran voce una legge nazionale contro la capitozzatura degli alberi in grado di colpire duramente i trasgressori. In parlamento qualcosa si muove ma il Covid-19 ha bloccato e rallentato tutto. Cosa pensa di questa proposta di legge?
Tutto il bene possibile; non conosco nei dettagli la proposta; spero che abbia seri presupposti tecnici, equità nei giudizi e nelle eventuali sanzioni. Altrimenti rimarrà qualcosa di demagogico inapplicabile e inapplicato, come spesso avviene quando troppi compromessi e superficialità tecniche entrano in gioco.
Intervista a cura di Alberto Colazilli e Pierlisa Di Felice